Turner wore sunglasses (Turner portava occhiali scuri)
Mi trovavo seduto come ogni venerdì ad un tavolo d'angolo nel mio ristorantino preferito con questa jeune fille, fresca e sorridente, che avevo da poco "conosciuto".
Ma avevo esagerato con las felizes caipirinhas e con le polpettine di mamachita.
Ero infatti lì, ad allargare di un punto o due la cintura resasi alquanto opprimente quando la chiquita, forse equivocando il mio gesto come richiesta di encore, si alzò e si diresse verso il ridotto bagno che il localino ospitava.
La sua occhiata da squalo agitato non lasciava alcun dubbio sulle sue intenzioni. Mi alzai stancamente e la seguii, pensando di aver mangiato e bevuto troppo per...
..mi fece istantaneamente cambiare idea togliendosi le mutandine prima che io mi fossi chiuso la porta alle spalle.
Indossava un vestitino ridottissimo (prodigi dell'economia in crisi) che le rendeva libere le stupende gambe da slava e che a volte, camminando, liberava anche (¡que viva la revolucion!) alcuni centimetri di sodo, succulento sedere.
Lo sguardo da squalo non la abbandonava ma si era ora esteso, propagandosi al mio muso barbuto sui cui ora brillava la medesima avida espressione.
Si alzò il vestito, la feci girare e consumai contro quel lavandino la libido pomeridiana. I suoi ansiti annebbiavano piacevolmente il minuto specchio su cui ad opera conclusa segnai una Ⓐ di Anarchia, spento nell'immaginazione quanto nell'erezione.
La chica si era evidentemente appassionata perché insistette per una terza volta, ancora una, please, c'mon e s'il vous plait.
"Non, merci, il ne me plait pas".
Rinfoderai l'oggetto di tanta cupidigia e la lasciai rimettersi in sesto e maledirmi mentre pagavo mamachita e me ne uscivo dalla bodeguita.
Presi quindi un taxi, ignorando le grida della jeune fille che in quel momento si precipitava in strada (pretendeva una terza prestazione o un pagamento per le prime due? Non potevo capirlo ma il dubbio non mi angustiò a lungo).
Il simpatico omino baffuto mi portò all'appartamento che dividevo con Juliette, meno jeune ma altrettanto bonne fille.
Manco a dirlo Juliette mi aspettava nervosa, le cinque erano passate da mezz'ora e potevo almeno avvertire e i miliziani stavano per arrivare e e e...
Le chiusi la bocca con la lingua e con un pugno ben assestato nella pancia.
Odiavo le prediche.
* * *
Dopo aver calmato e minacciato adeguatamente Juliette e dopo essermi con gran gioia svuotato en fin la vescica, passammo alle cose serie.
Seduti sul disgustoso ammasso di gommapiuma che ai propositi dell'economico arredamento si spacciava per un divano, decidemmo di andarcene.
Effettivamente Juliette non aveva tutti i torti sulla progressiva presa di coscienza da parte dei miliziani riguardo alla nostra identità. La baciai per questo. Chissà perché il mio bacio la spaventò, la sentii tremare ed irrigidirsi... Ad ogni modo pianificammo ogni cosa in modo efficace. Da come spedire la roba a come appesantire le tasche delle guardie di confine.
Fu così che ritornammo, per un breve periodo, nell'amata repubblica della moda e della pasta.
"Soldier of fortune" cantavano i Deep nel momento in cui rientrai al villaggio natio. L'autoradio era ok ma le casse erano da buttare, vibravano ad ogni spinta di bassi. Misuso, abuso o sottomarca montata da un abile venditore di fumo? Mah...
Avevo scaricato Juliette 50km prima, mormorando le solite paroline magiche, e canticchiavo con i Deep sulla strada statale. Soldier of Fortune.
Il soldato di fortuna, il mercenario, il legionario di tempi andati.
Amavo raffigurarmi in armatura, in sella ad un bel Frisone, difensore di chi mi pagava e raddrizzatore di finti soprusi, sorpresi e soppressi con alcune spadate e qualche casa bruciata.
Ma l'armatura era un ormai spento Armani e lo stallone una coupé coreana tutte curve.
Un guizzo di poesia, forse destato dalla visione del prode cavaliere senza macchie sul suo gessato, mi spinse a scendere alla spiaggia prima di riaprire la maison de mon père. Canticchiai un po' da solo, erano gli alti e non i bassi a fischiare nella mia gola, e vidi cadere due o tre stelle noncemale.
Aprii quindi la casa avita e chi spuntò fuori, come un Puffo Bruttone?
La mia vecchia (che poi vecchia non era, almeno ai nostri tempi) ragazza.
Vestita con l'alta classe paesana, abitino lungo, gonna e spalline, fiorellini, elasticizzato... il tutto condito con scarpe a zattera orribili.
Mi accolse radiosa come se fossi la madonnina di ponte-sotto-cervo.
Abbracci, baci e passione, dardeggiare e mescolare di lingue, insomma "welcome home and fuck me please".
Io esibivo un sorrisetto e un umore un po' prendingiro un po' stronzetto con questo puffo psilocibinico che mi diceva quanto le ero mancato, che aveva capito di amarmi veramente, e altre fregnacce mielestrazio sul fatto che ero stato sì a lungo lontano dai lidi conosciuti e frequentati del nostro mare e delle sue gambe.
Le infilai io qualche parolina in bocca tanto per vivacizzare i contenuti altrimenti piatti del suo monologo di enamorada.
"E perché? E come mai? E dov'è che sei stato?" le sue domande mi stavano suggerendo il vecchio pugno in pancia ma non volevo rogne per un po', specialmente nel rifugio casalingo, quindi ripiegai su qualche discorso riguardante la mia nota schizofrenia che mi avrebbe spinto al sud e che bla e bla e bla (questo sembrava essere diventato il mio argomento di conversazione/conservazione preferito: per non impazzire di fronte alla banalità conversavo di pazzia per conservarla...).
Come dice Oscar? "There is always something ridiculous about the emotions of people whom one has ceased to love". Caro Oscar.
Insomma le diedi da bere qualche fregnaccia, le strizzai un po' le tette e me ne andai finalmente a dormire, spossato dal lungo viaggio.
* * *
Mi alzai stordito e con la schiena a pezzi.
Riuscii a ritemprarmi con una lunga nuotata nel bellissimo mare, l'unica nota pregiata di quell'inutile paese.
Mi stavo rilassando sulla spiaggia, goccioline salate sulla mia pelle, accarezzandomi la barba, quando il maledetto telefono cellulare cominciò a trillare come un cardellino strozzato dalle bianche manine di un bambino curioso e cattivo, quale appunto ero stato.
Con la certezza di sentire la voce roca del chimico, grande fu il mio disappunto (o meno eufemisticamente la mia incazzatura) quando la bonne fille de p..., quale Juliette era, iniziò a blaterarmi all'orecchio.
Un semplice clic spense quella voce, ma non la mia rabbia. Le avevo espressamente proibito di telefonarmi finché la transazione non fosse avvenuta et voila, la femme fetente.
Richiamò. Non una, ma tre volte.
"Al diavolo il chimico - pensai - lo contatterò io in serata".
In uno dei miei rari momenti di appagante, cieca rabbia Zen spaccai l'antenna e sepellii l'esasperante "mobile" sotto la sabbia, immaginando di sepellire e soffocare l'amatissima Juliette.
Conservai il chip (come ho detto ero lucidamente Zen), sarebbe servito ancora.
Il tramonto fu stupendo. La pace derivante dal mio gesto improvviso mi permise di apprezzarlo veramente. La poesia di quei colori, l'artisticità di quel cielo dopo che il sole era scomparso...
Qualcosa si illuminò nel mio cervello, e non era la coca (avevo smesso). Quella luminosità, quello scenario, mi erano familiari.
Con evidente sforzo neuronico ripescai il ricordo: Louvre, qualche anno prima, esposizione di quadri di Turner.
La stessa luce senza origine definita, gli stessi colori, lo stesso cielo.
Fermai il treno delle mie emozioni e mi tolsi gli occhiali da sole: comme à dire, l'effetto era svanito.
Non mi crucciai più di tanto. Reinforcai gli shades e decisi che Turner portava occhiali scuri.
Rimasi in estatica ammirazione ringraziando gli dei. Bestemmiando gli dei. Adorando gli dei. Succhiando l'uccello agli dei se avessero concesso all'affare della polvere rossa di approdare sicuro al porto del mio conto bancario.
Non immaginavo allora in quale maelstrom di umani escrementi stavo per affogare.
Dissotterrai il cellulare, lo gettai a mare e me ne tornai a casa: il cielo non portava più la firma di Mr.Turner e io avevo bisogno di una feliz caipirinha.